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Per una ricostruzione della teoria dell’utilità e dell’economia del benessere – VIII e ultima parte

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Critica dello Stato come istituzione volontaria

 

stemma misesNell’evoluzione del pensiero economico, si è prestata molta più attenzione all’analisi del libero scambio che all’azione dello Stato. Come detto, in genere si è considerato lo Stato semplicemente un’istituzione volontaria. L’ipotesi più comune è che lo Stato sia volontario perché deve basarsi sul consenso della maggioranza. Se aderiamo alla Regola dell’Unanimità, però, è ovvio che una maggioranza non è l’unanimità, e che quindi, su tale terreno, l’economia non può considerare lo Stato un’istituzione volontaria. Stessa osservazione si applica alle procedure di voto a maggioranza della democrazia. Non si può dire che la persona che vota per il candidato perdente, e ancor di più la persona che si astiene dal voto, approvino intenzionalmente l’azione dello Stato. 69

Negli ultimi anni alcuni economisti si sono resi conto che la natura dello Stato necessita di un’analisi accurata. In particolare, si sono resi conto che l’economia del benessere deve provare che lo Stato sia in qualche senso volontario prima di poter sostenere qualsiasi azione statale. Il tentativo più ambizioso di definire lo Stato un’istituzione “ volontaria” è costituito dal lavoro del professor Baumol.70 La tesi di Baumol sulle “economie esterne” può essere così sintetizzata: certi bisogni sono per loro natura “collettivi” anziché “individuali”. In questi casi, ogni individuo ordinerà le seguenti alternative nella sua scala di valori: in (A) preferirebbe che tutti tranne lui fossero costretti a pagare per il soddisfacimento del bisogno del gruppo (ad esempio, protezione militare, parchi pubblici, dighe ecc.). Ma poiché questa soluzione non è praticabile, deve scegliere fra le alternative B e C. In (B) nessuno è costretto a pagare per il servizio, nel qual caso il servizio probabilmente non sarà predisposto perché ognuno tenderà a sottrarsi al pagamento della sua quota; in (C) tutti, incluso egli stesso, sono costretti a pagare per il servizio. Baumol conclude che la gente sceglierebbe C; di conseguenza le attività dello Stato che offrono tal i servizi sono “effettivamente volontarie”. Tutti scelgono allegramente di essere costretti.

Questa ingegnosa tesi può essere considerata da diversi punti di vista. In primo luogo, è assurdo sostenere che la “coercizione volontaria” possa essere una preferenza dimostrata. Se la decisione fosse veramente volontaria, non sarebbe necessaria alcuna coercizione fiscale – le persone si metterebbero d’accordo volontariamente e pubblicamente per pagare la propria quota di contributi al progetto comune. Poiché si suppone che tutti preferiscano avere il bene o il servizio anziché non pagare e non averlo, allora effettivamente vogliono pagare il prezzo per ottenere il bene. Di conseguenza l’apparato di coercizione fiscale non è necessario, e tutte le persone risolutamente, anche se un tantino malvolentieri, pagherebbero ciò che ci si aspetta senza alcun sistema fiscale coercitivo.

Secondariamente, la tesi di Baumol è indubbiamente vera per la maggioranza, perché la maggioranza, passivamente o entusiasticamente, deve sostenere lo Stato affinché esso sopravviva per un certo periodo di tempo. Ma anche se la maggioranza vuole costringere se stessa al fine di costringere gli altri (e forse far pendere la bilancia a sfavore degli altri), ciò non prova nulla in termini di economia del benessere, che deve basare le sue conclusioni sulla regola dell’ unanimità , non su quella della maggioranza. Baumol sosterrà che tutti hanno questo ordine di valori? Non esiste una persona nella società che preferisce la libertà per tutti alla coercizione per tutti? Se una sola persona esiste, Baumol non può più definire lo Stato un’istituzione volontaria. Su quali basi, a priori o empiriche, si può sostenere che non esiste una persona simile?71

Tuttavia la tesi di Baumol merita una riflessione più dettagliata. Infatti, anche se non può dimostrare l’esistenza della volontarietà della coercizione, se effettivamente è certo che alcuni servizi semplicemente non possono essere ottenuti nel libero mercato, allora ciò evidenzierebbe una grave debolezza nel “meccanismo” del libero mercato . Esistono casi in cui solo la coercizione può conseguire i servizi desiderati? A prima vista, per una risposta affermativa le “economie esterne” di Baumol sembrano plausibili. Servizi come la protezione militare, le dighe, le autostrade ecc. sono importanti. La gente desidera che siano realizzati. Tuttavia, ognuno non tenderebbe a ridurre la propria quota, sperando che gli altri paghino? Impiegare questo argomento come giustificazione dell’offerta statale di tali servizi è un esempio di ragionamento circolare che non dimostra alcunché. Perché questa particolare condizione esiste solo e proprio perché lo Stato, non il mercato, offre questi servizi! Il fatto che lo Stato offra un servizio significa che, a differenza del mercato, la sua offerta del servizio è completamente separata dalla riscossione dei pagamenti. Dal momento che il servizio è offerto gratuitamente e più o meno indiscriminatamente ai cittadini, ne consegue naturalmente che ogni individuo – avendo il servizi o garantito – cercherà di sottrarsi alle sue imposte. Perché, a differenza della situazione di mercato, il suo pagamento dell’imposta non gli procura niente direttamente. E questa condizione non può essere una giustificazione per l’azione dello Stato; perché è solo la conseguenza dell’esistenza della stessa azione statale.

Ma lo Stato deve forse soddisfare alcuni bisogni perché sono “collettivi” anziché “individuali”? Questa è la seconda linea d’attacco di Baumol. In primo luogo, Molinari ha dimostrato che l’esistenza di bisogni collettivi non implica necessariamente l’azione statale. Ma, soprattutto, il concetto stesso di bisogni “collettivi” è discutibile. Perché tale concetto deve presupporre l’esistenza di una qualche entità collettiva reale che esprime bisogni! Baumol avversa questa ipotesi, ma l’avversa invano. La necessità di presupporre tale entità è resa evidente dall’analisi sull’“azione collettiva” di Haavelmo, citata favorevolmente da Baumol. Haavelmo riconosce che decidere su un’azione collettiva “richiede un modo di pensare e un potere di agire che sono al di fuori della sfera funzionale di qualsiasi gruppo individuale in quanto tale”. 72

Baumol tenta di negare la necessità di presupporre l’esistenza di un’entità collettiva affermando che alcuni servizi possono essere finanziati “congiuntamente”, e gioveranno a molte persone congiuntamente. Quindi afferma che gli individui sul mercato non possono fornire questi servizi. Questa posizione è davvero curiosa. Perché tutte le attività economiche di grande dimensione sono finanziate “congiuntamente” con ampie aggregazioni di capitale, e servono anche molti consumatori, spesso congiuntamente. Nessuno sostiene che un’impresa privata non può fornire acciaio o automobili o assicurazioni perché questi sono finanziati “congiuntamente”. Se si fa riferimento al consumo, da un certo punto di vista nessun consumo può essere congiunto, perché solo gli individui esistono e possono soddisfare i loro bisogni, e quindi ognuno deve consumare separatamente. In un altro senso, quasi tutto il consumo è “congiunto”. Baumol, ad esempio, sostiene che i parchi sono un esempio di “bisogni collettivi” soddisfatti congiuntamente, perché molti individui li devono utilizzare. Di conseguenza, lo Stato deve fornire questo servizio. Tuttavia andare a teatro è un consumo anche più congiunto, perché tutti devono andare nello stesso momento. Allora tutti i teatri devono essere nazionalizzati e gestiti dallo Stato? Inoltre, più in generale, tutto il consumo moderno dipende dalla produzione di massa per un mercato vasto. Non c’è un criterio in base al quale Baumol può individuare certi servizi e definirli “esempi di interdipendenza” o “economie esterne”. Quali individui potrebbero acquistare acciaio o automobili o surgelati, o quasi tutto il resto, se non esistesse un certo numero di altri individui che domandano tali beni e rendono vantaggiosi i metodi della produzione di massa? Le interdipendenze di Baumol sono tutte intorno a noi e non c’è un metodo razionale per isolare alcuni servizi e chiamarli “collettivi”.

In relazione alla tesi di Baumol, un argomento molto comune – e più plausibile della suddetta tesi – è che certi servizi sono talmente indispensabili per l’esistenza stessa del mercato che devono essere forniti collettivamente al di fuori del mercato. Si ritiene che questi servizi (protezione, trasporto ecc.) siano talmente importanti da pervadere le transazioni di mercato e rappresentare una condizione preliminare necessaria per l’esistenza del mercato stesso. Ma questo argomento prova troppo. Un errore degli economisti classici fu di considerare i beni in termini di ampie classi, anziché in termini di unità marginali . Nel mercato tutte le azioni sono “al margine”, e questo è esattamente il motivo per cui possono essere effettuate la valutazione e l’imputazione della produttività in valore ai fattori produttivi. Se cominciamo a considerare intere classi anziché unità marginali, possiamo individuare numerosi tipi di attività che sono necessari prerequisiti di tutta l’attività di mercato, e fondamentali per essa; terra, alloggio, cibo, vestiti, corrente elettrica e così via – anche la carta! Tutti questi beni devono essere forniti dallo Stato, e solo da esso?

Spogliata dei suoi numerosi errori, l’intera tesi sui “bisogni collettivi” si riduce a questo: sul mercato alcune persone riceveranno benefici dalle azioni di altri senza pagare.73 Questo è il succo del discorso nella critica al mercato, e questo è il solo rilevante problema di “economia esterna”. 74 A e B decidono di pagare per la costruzione di una diga di cui hanno bisogno; C ne beneficia anche se non ha pagato. A e B si istruiscono a proprie spese e C beneficia del fatto di poter avere a che fare con persone istruite; e così via. Questo è il problema del free rider. Ma è difficile capire il perché di tutto questo baccano. Devo essere espressamente tassato per il fatto di godere della vista del giardino del mio vicino senza pagare? L’acquisto di un bene da parte di A e B rivela che loro due vogliono pagare per esso; se il bene beneficia indirettamente anche C, nessuno ci perde. Se C ritiene che, se contribuissero solo A e B, egli verrebbe privato del beneficio, allora è libero di contribuire anch’egli. In ogni caso, nella vicenda tutti gli individui si richiamano alle proprie preferenze.

Di fatto noi siamo tutti free rider rispetto agli investimenti e allo sviluppo tecnologico realizzato dai nostri antenati. Dobbiamo cospargerci il capo di cenere, o sottometterci agli ordini dello Stato, per questa felice condizione?

Baumol e gli altri che concordano con lui sono molto incoerenti. Da un lato l’azione non può essere lasciata alla scelta volontaria individuale perché il malvagio free rider potrebbe sottrarsi e ottenere benefici senza pagare. Dall’altro gli individui sono spesso accusati perché non faranno abbastanza per beneficiare i free rider. Ad esempio, Baumol critica gli investitori per il fatto di non violare la propria preferenza temporale e investire più generosamente. Di sicuro la linea di condotta ragionevole è: né penalizzare il free rider né garantirgli particolari privilegi. Questa sarebbe l’unica soluzione coerente con la regola dell’unanimità e c on la preferenza dimostrata.75

Se la tesi del “bisogno collettivo” non è il problema del free rider, è semplicemente un attacco di tipo etico alle valutazioni individuali e un desiderio da parte dell’economista (che assume il ruolo di esperto di etica) di sostituire le valutazioni degli altri individui con le sue al fine di decidere le loro azioni. Questo atteggiamento diventa chiaro nell’affermazione di Suranyi-Unger: “egli (un individuo) può essere guidato da una valutazione de ll’utilità e della disutilità misera o sconsiderata o frivola e da un corrispondente basso grado, o completa assenza, di responsabilità sociale”. 76

Tibor Scitovsky, impegnato in un’analisi simile a quella di Baumol, avanza anche un’altra obiezione al libero mercato, sulla base di ciò che definisce “economie esterne pecuniarie”. 77 In breve, questa concezione soffre del frequente errore di confondere l’equilibrio generale (irraggiungibile!) dell’economia uniformemente rotante con un “ideale” etico e quindi di attaccare fenomeni onnipresenti come l’esistenza dei profitti in quanto scostamenti da tale ideale.

Infine dobbiamo menzionare i tentativi recentissimi del professor Buchanan di definire lo Stato un’istituzione volontaria. 78 La tesi di Buchanan è basata sul curioso sofisma per cui in democrazia la regola della maggioranza in effetti rappresenta l’unanimità perché le maggioranze possono sempre cambiare, e nei fatti cambiano! Si ipotizza dunque che i mutamenti e i cambiamenti di direzione frutto del processo politico, in quanto ovviamente non irreversibili, determinino l’unanimità nella società. La dottrina secondo cui il conflitto politico continuo e lo stallo in realtà equivalgono ad una misteriosa unanimità sociale dev’essere considerata una caduta in un misticismo di tipo hegeliano.79

Conclusioni

 

Nel suo brillante resoconto sull’economia contemporanea, il professor Bronfenbrenner ha descritto la situazione attuale della scienza economica nei termini più deprimenti possibile.80 “Landa desolata” e “guazzabuglio” sono stati i tipici epiteti utilizzati, e Bronfenbrenner ha concluso il suo articolo con disperazione, citando il famoso poema Ozymandias. Se applicato alla teoria oggi di moda, il suo atteggiamento è giustificato. Gli anni Trenta furono un periodo di entusiastica attività e di evidenti progressi pionieristici nel pensiero economico. Invece una dopo l’altra si sono instaurate la reazione e l’indebolimento, e a metà degli anni Cinquanta le grandi speranze di venti anni fa stanno morendo o combattendo una disperata battaglia di retroguardia. Nessuno dei nuovi approcci di qualche tempo fa propone più contributi teoretici vivaci. Bronfenbrenner in particolare menziona, giustamente, sia la teoria della concorrenza imperfetta sia la teoria keynesiana. Avrebbe potuto menzionare anche la teoria dell’utilità e del benessere. Perché la metà degli anni Trenta vide lo sviluppo dell’analisi delle curve di indifferenza di Hicks e Allen e la Nuova Economia del Benessere. Entrambe queste rivoluzioni teoretiche sono state molto popolari nei piani alti della teoria economica; e ora sono entrambe in frantumi.

La tesi di questo saggio è che le teorie dell’utilità e del benessere, un tempo rivoluzionarie e successivamente ortodosse, meritano una sepoltura anche più rapida di quella che hanno ricevuto, ma ad esse non deve seguire un vuoto teoretico. Lo strumento della Preferenza Dimostrata, in cui l’economia prende in considerazione solo la preferenza dimostrata dall’azione reale, combinato con una rigorosa Regola dell’Unanimità ai fini delle asserzioni sull’utilità sociale, possono servire per realizzare una ricostruzione completa dell’utilità e dell’economia del benessere. La teoria dell’utilità può essere definitivamente introdotta come teoria dell’utilità marginale ordinale. E l’economia del benessere può diventare di nuovo un corpus vitale, anche se la sua nuova identità potrebbe no n attrarre i suoi precedenti ideatori. Non si deve pensare che, nel nostro esame dell’economia del benessere, abbiamo cercato di introdurre qualche progetto etico o politico. Al contrario, l’economia del benessere proposta è stata portata avanti senza inserire giudizi etici. L’economia in sé e da sola non può istituire un sistema etico, e dobbiamo garantire ciò indipendentemente dalla filosofia o dall’etica che sosteniamo. Il fatto che il libero mercato massimizza l’utilità sociale, o che l’azione dello Stato non può essere considerata volontaria, o che gli economisti favorevoli al laissez-faire erano teorici del benessere migliori di quanto sia stato loro riconosciuto, in sé non implica alcuna difesa del laissez-faire o di qualsiasi altro sistema sociale. Ciò che l’economia del benessere fa è offrire queste conclusioni a chi enuncia i giudizi etici, essendo esse parte dei dati utili per la costruzione del suo sistema etico. A chi disprezza l’utilità sociale o ammira la coercizione, la nostra analisi potrebbe fornire potenti argomenti per una politica di deciso statalismo.

Tratto da Rothbardiana

Traduzione di Piero Vernaglione

Note

69 Schumpeter è giustamente sprezzante nell’affermare: “La teoria che interpreta i tributi secondo un’analogia con le quote di un club o con l’acquisto dei servizi di un medico, dimostra solo quanto questa parte delle scienze sociali sia molto lontana da un abito mentale di tipo scientifico”. Joseph A. Schumpeter, Capitalism, Socialism, and Democracy (New York: Harper and Brothers, 1942), p. 198. Per un’analisi realistica v. Molinari, The Society of Tomorrow, pp. 87-

70 William J. Baumol, “Economic Theory and the Politic al Scientist,” World Politics (January 1954): 275-77; e Baumol, Welfare Economics and the Theory of the State.

71 Galbraith in effetti avanza tale ipotesi, ma ovviamente senza un fondamento adeguato. V. John K. Galbraith, Economics and the Art of Controversy (New Brunswick, N.J.: Rutgers University Press, 1955), pp. 77-78.

72 Haavelmo, “The Notion of Involuntary Economic Decis ion.” Yves Simon, citato favorevolmente da Rothenbe rg, è anche più esplicito, postulando una “ragione pubblica” e un “volere pubblico” in contrasto con le ragi oni e i voleri privati. V. Yves Simon, Philosophy of Democratic Government (Chicago: University of Chicago, 1951); Rothenberg, “Conditions,” pp. 402-3.

73 V. la critica di una posizione simile di Spencer da parte di S.R., “Spencer As His Own Critic,” Liberty (June 1904).

74 I famosi problemi di “diseconomie esterne” (rumori , fumi, pesca ecc.) fanno parte in realtà di una categoria completamente differente, come ha mostrato Mises. Questi “problemi” sono dovuti ad un’insufficiente difesa della proprietà privata contro le invasioni. Più che un difetto del libero mercato, quindi, sono il risultato di invasioni della proprietà, invasioni che sono escluse per definizione dal libero mercato. V. Mises, Human Action, pp. 650-56.

75 In una buona, sebbene insufficiente, analisi critica delle tesi di Baumol, Reder fa notare che Baumol trascura completamente le organizzazioni sociali volontarie costituite da individui, perché presuppone che lo Stato sia l’unica organizzazione sociale. Questo errore può derivare in parte dalla particolare definizione data da Baumol al termine “individualistico”, inteso come una situazione in c ui nessuno considera gli effetti delle proprie azioni su qualcun altro. V. Melvin W. Reder, “Review of Baumol’s Welfare Economics and the Theory of the State,” Journal of Political Economy (December 1953): 539.

76 Theo Suranyi-Unger, “Individual and Collective Want s,” Journal of Political Economy (February 1948): 1-22. Suranyi-Unger impiega anche concetti privi di significato come “utilità aggregata” della “soddisfazion e del bisogno collettivo”.

77 Tibor Scitovsky, “Two Concepts of External Economies,” Journal of Political Economy (April 1954): 144-51.

78 James M. Buchanan, “Social Choice, Democracy, an d Free Markets,” Journal of Political Economy (April 1954): 114-23; e Buchanan, “Individual Choice in Voting and  the Market,” Journal of Political Economy (August 1954): 334-43. Per molti altri aspetti gli articoli di Buchanan sono davvero validi.

79 Quanto sia inconsistente, anche per Buchanan, questa “unanimità” è illustrato dal seguente passaggio, molto ragionevole: “un voto espresso in dollari [cioè esprimere la propria preferenza sul mercato acquistando o non acquistando un bene, d.t.] non è mai capovolto; l’individuo non è mai nella posizione di membro della minoranza dissenziente” – come invece avviene nel processo elettorale (Buchanan, “Individual Choice in Voting an d the Market,” p. 339). Il suo approccio lo conduce talmente lontano da far passare per una virtù positiva l’incoerenza e l’indecisione nelle scelte politiche.

80 Bronfenbrenner, “Contemporary Economics Resurveyed .”

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